Pensavamo
che con il Jobs act si fosse toccato
il fondo. Pensavamo che dopo l’abolizione del diritto a non essere cacciati dal
posto di lavoro senza “giusta causa”, dopo avere visto evaporare il diritto
alla pensione, dopo avere ammirato l’inaugurazione del “modello Expo” (lavoro
gratuito in cambio di un curriculum da giocare sul mercato del lavoro) fosse
difficile raschiare ancora sull’osso spolpato del lavoro, privo ormai di
tutele, sia individuali che collettive.
Ebbene,
sbagliavamo. Si può fare di più. Lo ha dimostrato con sagacia invidiabile il
ministro del lavoro Poletti, che si deve essere chiesto quale altro “cadeau” può
essere somministrato ad imprese che non sanno letteralmente cos’altro rivendicare
ad un governo che si è genuflesso agli interessi del capitale più di ogni altro
in era repubblicana e che si è meritato gli applausi scroscianti di
Confindustria.
La
nuova idea ha del grandioso: non retribuire più in ragione del tempo di lavoro
prestato, ma del risultato finale. Non si tratta, a ben vedere, di una novità
assoluta. Si chiama cottimo, per giunta individuale, cancellato quarant’anni or
sono da intere stagioni di lotte operaie. Con una differenza, che anche il
corrispettivo della prestazione oggi sarebbe il padrone a stabilirlo, poiché la
deroga ai contratti nazionali di lavoro è ormai moneta corrente.
Come
si vede, il renzismo sta rapidamente recuperando il terreno “perso” dall’Italia
rispetto a Reagan, Thatcher, Blair. Loro dicono che questa è la modernità.
Prima
facevano ancora argine la Costituzione antifascista e lo Statuto dei
lavoratori, ma l’una e l’altro sono stati rottamati come vecchi arnesi, frutto
velenoso di un’epoca in cui i lavoratori arginavano lo strapotere dei padroni e
i cittadini riuniti in libere e democratiche istituzioni riuscivano ancora
opporsi all’esproprio della sovranità popolare.
Oggi
dettano legge loro: banchieri, usurai, padroni e lestofanti di ogni risma.
Sempre più ricchi e arroganti. Sempre più voraci e protervi.
Finché
glielo lasceremo fare.
14 Dicembre 2015
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