Sabato,
a Bologna, in una piazza da 30 mila persone e vuota per metà, ha fatto il suo
lugubre esordio la coalizione fascio-leghista che ha incoronato Salvini come proprio
“conducator”, con a fianco la patetica maschera di Berlusconi, trattato dal
nuovo capintesta come nelle case padronali si usa fare con gli ospiti di
secondo rango.
La
“marcia su Bologna”– che da un’era geologica non è più la città comunista di
Dozza, Zangheri, Imbeni, ma quella liberal-liberista del renziano Merola – si è
comunque rivelata per ciò che era implicito nelle premesse: l’investitura coram populo del nuovo capo e la
connotazione razzista e reazionaria della nuova destra italiana sul modello di
quella ungherese di Viktor Orban.
Il
secessionismo d’antan della vecchia Lega e le spoglie prossime alla sepoltura
di Forza Italia si preparano così a trasmigrare nella “nuova” formazione di
impronta lepenista e diciannovista.
Mentre
il grande capitale industriale e finanziario trova in Renzi e nel Pd la propria
più nitida espressione politica, strati di piccola borghesia e fasce di proletariato
allo sbando perché orbe di una rappresentanza di classe, trovano rifugio sotto
le nuove insegne.
Manca all’appello una sinistra
di classe, la sola che potrebbe farsi erede della Costituzione democratica e
antifascista: una sinistra finalmente affrancata dalle mille abiure e
compromissioni che ne hanno negli anni sbiadito quando non del tutto cancellato
ogni vera ambizione trasformatrice; una sinistra che tuttavia stenta ancora a
prendere forma e a decollare, malgrado la crisi strutturale del sistema
confermi che la strada in cui le classi dominanti hanno sospinto il paese è una
strada senza uscita.09 Novembre 2015
Nessun commento:
Posta un commento