A Milano, nella sedicente
“capitale morale” d’Italia, si sono appena svolte le “primarie” del Pd e dei
suoi satelliti.
Hanno votato meno cittadini
dell’altra volta, in questo rito a cui possono partecipare tutti, anche gli avversari,
ai quali il Pd concede l’assurdo privilegio di condizionare la scelta dei
propri candidati.
Come nei pronostici ha vinto Giuseppe
Sala, bocconiano, ex city manager dell’indimenticabile Letizia Moratti, ex
sindaco del capoluogo lombardo nonché altrettanto indimenticabile ex ministro
della pubblica istruzione.
Le credenziali di Sala, sono
l’essere stato dirigente di primo piano della Pirelli, direttore generale della
Telecom Italia, membro del CdA della Cassa depositi e prestiti, presidente di A2A
(l’azienda lombarda - per ora pubblica - di energia e servizi) e, infine,
amministratore delegato di Expo 2015.
Ma soprattutto, e proprio in
ragione di questi “meriti”, di essere uomo legato a Renzi, di essere cioè espressione
della lobby politico-finanziaria che è l’azionista di controllo del governo.
Una volta di più, tutto si
tiene.
Sel, pur fra i malumori di
una parte della sua base, ha deciso di partecipare alle primarie. Lo ha fatto
sapendo
perfettamente che stare al
gioco significa accettarne le regole e che perciò il candidato vincente diverrà
il candidato di tutto lo schieramento di forze che partecipano alle primarie,
dunque anche di Sel. Smarcarsi ora sarà molto complicato: opportunismo e
trasformismo si finiscono sempre per pagare.
Come temevamo, l’esordio del
nuovo soggetto della Sinistra – costruito sull’asse Sel e transfughi dal Pd -
che ha per massima ambizione quella di resuscitare il centrosinistra, avviene
sotto l’ombrello del Partito democratico a trazione renziana.
Urge un ripensamento. Di
certo noi non li seguiremo su questa strada.
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