Un
tempo ormai trapassato nessuno avrebbe potuto sospettare che la Cgil avrebbe
avuto dubbi nello schierarsi apertamente – senza se e senza ma, come si dice
oggi – nella imminente battaglia per difendere la Costituzione dallo
sventramento che rischia di subire ad opera del Partito democratico.
Invece
è quello che sta accadendo, segno inequivocabile della perdita di autonomia del
più grande sindacato italiano, incapace di svincolarsi dalla morsa di quello
che – malgrado la svolta a destra imposta da Renzi – continua a rimanere il suo
partito di riferimento.
Certo,
vi saranno dirigenti confederali, segretari di Camere del lavoro o di categoria
che si dichiareranno individualmente per il “No” nel referendum.
Ma
l’organizzazione, come tale non lo farà e si chiamerà fuori, a meno di
auspicabili ma alquanto improbabili ripensamenti.
Ora,
che la Cgil metta in campo oppure no energie, risorse, determinazione in una
campagna che si annuncia difficile e decisiva per le sorti della democrazia fa
una grande differenza.
L’organizzazione
di classe dei lavoratori si divide cioè su un punto cruciale: non sa prendere
posizione di fronte al più pesante scivolamento autoritario della storia
repubblicana.
E
c’è di più, se si tiene a mente che la controriforma istituzionale e la legge
elettorale - il famigerato Italicum – vanno di pari passo con la lesione dei
fondamentali diritti sanciti dalla Carta, a partire dal lavoro, così umiliato
dalle politiche governative.
Ha
fatto meglio l’Anpi che sia pure fra molti distinguo ha scelto di non disertare
la battaglia.
Sarebbe
stato francamente surreale se la Costituzione frutto della Resistenza non
avesse trovato nell’Associazione partigiana un proprio irriducibile difensore.
L’occasione
che ora ci si presenta è quella di una grande operazione pedagogica: portare ovunque
la Costituzione, la sua lettera e la sua sostanza, spiegarla ai tanti che non
la conoscono e ai non pochi che ne hanno smarrito l’origine e il significato.
25 Gennaio 2016
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