Non esiste acrobazia politica
che possa nascondere la realtà emersa dalle urne. E non c’è modo di camuffarne
l’esito ricordando che, in fondo, si è trattato di una consultazione
amministrativa.
Il carattere di queste
elezioni era squisitamente politico. Non solo perché in gioco era
l’amministrazione di grandi città, a partire dalla Capitale, dal nord al sud
del paese, ma perché la partita che si è giocata era il primo appuntamento
politico di rilievo, dopo le europee, in cui il Pd renziano è stato chiamato in
giudizio dagli elettori. Dopo, cioè, che quel partito ha messo mano ad una
devastante serie di manomissioni dei fondamentali diritti di cittadinanza,
quello del diritto ad un lavoro decente, quello dello statuto dei lavoratori,
quello di una scuola libera, pubblica e non asservita ai poteri forti. E dopo
che il governo dal lui diretto si è gettato nell’avventura reazionaria di
cancellare 50 articoli della Costituzione per cambiare a colpi di maggioranza
la forma dello Stato, varando per sovrapprezzo una legge elettorale
ipermaggioritaria che assicura alla lista (ovvero al partito) che prende più
voti il governo totale ed incondizionato del parlamento e degli organi di
garanzia costituzionale.
Evidentemente, tanto il golpe
istituzionale, quanto la macelleria sociale non sono passati inosservati al
popolo italiano, malgrado il bombardamento propagandistico e la clamorosa
sovraesposizione mediatica di Renzi, che quotidianamente fa irruzione nelle nostre
case millantando inesistenti successi delle sue politiche. Lo stordimento a cui
siamo stati tutti sottoposti non è dunque riuscito a divorare la cruda realtà
delle cose.
Ebbene, il Pd tracolla un po’
dappertutto, alla sua sinistra, al centro e – se possibile – alla sua destra.
Il “Partito della nazione”,
presunzione totalitaria e quintessenza del renzismo, della serie “un uomo solo
al comando”, si è dissolta come neve al primo sole.
Ora serve lavorare, senza un
secondo da perdere, per giungere pronti al prossimo, decisivo appuntamento,
quando nel prossimo mese di ottobre saremo chiamati a pronunciarci, attraverso
il referendum, sulla controriforma costituzionale.
Dovremo lavorare sodo, da qui
ad allora, opponendo allo strapotere del governo e dei mezzi di informazione ad
esso asserviti la nostra capacità di mobilitazione, come si faceva una volta,
“strada per strada, casa per casa”. Una mobilitazione capace di esaltare quella
partecipazione di massa alla politica che è precisamente l’antidoto alla deriva
autoritaria a cui lor signori vorrebbero consegnare il Paese.
Ora, fra i nostri tracotanti
avversari serpeggia la paura di perdere, una sensazione per loro nuova. Questo non
li rende più arroganti. Semmai più pericolosi di prima.
L’impegno che dobbiamo profondere deve essere dunque
più intenso e coinvolgente che mai. Parlare alla gente, informare un pubblico
disabituato a pensare, spiegare che non è vero che nulla può cambiare è il
compito che dobbiamo prendere nelle nostre mani.
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