Quella a cui abbiamo
assistito dopo il referendum del 23 giugno che ha sancito la “Brexit” è una
delle più spettacolari manifestazioni di servilismo giornalistico ai poteri
costituiti, alle classi dominanti europee, al board dell’Unione europea.
Sulla maggioranza dei
cittadini che hanno deciso l’uscita del Regno unito dall’Ue è piovuta all’unisono
una valanga di insulti che ben poco hanno a che vedere con il rispetto dovuto
all’espressione della volontà popolare di quel paese e ad un minimo di decenza
professionale.
Continuiamo a sentirne di
ogni colore: “Sono degli ignoranti che hanno votato senza sapere quello che
facevano”, “se tornassero a farlo il risultato cambierebbe”, “già 3 milioni di
persone hanno firmato una petizione che chiede di tornare al voto”.
A seguire, si è scatenata una
furibonda campagna di autentico terrorismo psicologico: “Crollo del valore
della sterlina”, “fuga dei capitali”, “banche d’affari che abbandonano la
City”, “rapporti commerciali in crisi con il resto dei paesi Ue”, “scatenamento
delle del nazionalismo xenofobo”, “riacutizzarsi delle pulsioni guerrafondaie
in un’Europa che le aveva bandite dopo la conclusione della seconda guerra
mondiale”, “fine dell’Erasmus e giovani allo sbando”, “vita complicata persino
per i calciatori europei che militano nella premier league britannica” e via
profetizzando, anche a sprezzo del ridicolo, catastrofi planetarie.
Sembra di assistere alle piaghe
che secondo il racconto biblico si abbatterono per volontà divina sul faraone e
sugli egizi per la persecuzione degli ebrei: grandine, acqua mutata in sangue,
invasione di rane, zanzare, locuste, tenebre, mortalità del bestiame, morte dei
primogeniti.
Insomma, una catastrofe senza via di
scampo.
In realtà, ciò che si fa strada nella
cattiva coscienza delle classi dominanti, è che l’Europa nata sotto l’egida del
capitalismo finanziario, dell’usura bancaria, della speculazione, della
compressione dei diritti sociali, dell’umiliazione del lavoro, dell’austerity,
possa cominciare a mostrare i primi potenti scricchiolii.
Certo, nel rigetto di quel meccanismo
infernale si nascondono anche pulsioni reazionarie, come avviene in tutte le
fasi di crisi.
La sinistra, quella che senza vergogna ha
ancora titolo per fregiarsi di questo nome, non dovrebbe accodarsi
all’assordante coro delle prefiche urlanti di sdegno e di preoccupazione, per
porre invece all’ordine del giorno la rottura con questa Unione europea che ha
espropriato i popoli di ogni sovranità, espugnando il contenuto più progressivo
e egualitario delle loro costituzioni. E lavorando ad un progetto che renda
credibile un’altra strada.
Ma sia chiaro: non c’è soluzione
positiva della crisi se questa non è sorretta da una forte critica
anticapitalistica, capace di comprendere, denunciare, combattere la natura
della formazione economico-sociale europea, il suo carattere profondamente
autoritario, distruttivo del lavoro, della solidarietà e della democrazia.
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