Dopo gli attentati, Francois Hollande scopre il
suo animo gollista, annuncia niente meno che modifiche costituzionali, promulga
lo “stato di eccezione”, vale a dire una torsione autoritaria che mette nelle
mani del governo poteri eccezionali che comportano la possibilità di ledere
diritti individuali, ben più che semplici limitazioni della privacy. Perché
questo impone la guerra al Califfato – dice il capo del governo francese - da
combattersi con ogni mezzo e senza quartiere. E se ciò comporta sacrificare un
po’ di Liberté, di Egalité e di Fraternité, pazienza.
Anzi, meglio: se questa svolta può tornare comoda
all’esangue leader socialista francese per strappare consensi all’avversario di
estrema destra, a Marine Le pen, sul suo becero terreno.
Il massacro di Parigi ha dunque segnato un punto
di non ritorno nella capacità di ragionare delle centrali di comando europee.
I nostri governanti non hanno capito niente. O,
peggio, fingono di non capire che l’Isis ha avviato un processo di
identificazione in tutte le comunità islamiche frustrate e oppresse, tanto nei regimi
islamisti quanto in quelli europei: lo stadio d’assedio imposto a Bruxelles è
lì che parla.
La liquidazione militare dell’Isis, quand’anche
andasse a buon fine, non risolverebbe il tema cruciale dei rapporti che
l’Occidente coltiva con gli Stati che lo sostengono e lo nutrono con armi e
denaro, mentre fingono di combatterlo.
La guerra, dunque, non serve a niente.
Anzi. Come ha scritto oggi sul Fatto quotidiano il generale Mini, “alle
bombe degli attentati corrispondono le bombe dei caccia e dei droni; ai civili
ammazzati a Parigi corrispondono i civili ammazzati a Raqqa”. E’ una simmetria
perfetta!
Resta il fatto che sono sponsor dell’Isis “tutti
quegli Stati e non Stati che alimentano il mercato nero del petrolio, delle
armi, dei reperti archeologici e sottostanno alle estorsioni”. Evidentemente “i
legami degli interessi, specialmente se sporchi, sono più forti del ribrezzo
che provocano i massacri nel cuore delle città europee”.
23 Novembre 2015
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