Dopo la batosta incassata al
referendum, nelle acque maleodoranti del Partito democratico si assiste ora ad
uno scontro feroce, ma non serio, fra vecchia e nuova guardia, fra ex Pds e ex
Margherita, in parte rimescolatisi in base a convenienze personali e a calcoli
di bassa cucina dopo la cavalcata di Matteo Renzi alla conquista del partito.
Come dicono gli americani,
che di cinismo politico se ne intendono, “non c’è cosa più di successo del
successo”, perché permette a chi sale sul carro vincente di riscuotere
prebende, più o meno generose. Finché il vento soffia in poppa, ovviamente.
Ma ora che la stagione felice
del bullo di Rignano è solo un ricordo, la faida interna si scatena con
particolare virulenza.
Ebbene, la cosa curiosa è che
c’è in giro chi si illude che lo scontro, per dirla in termini classici, sia
fra destra e sinistra. In altri termini, che nella contesa ci sia un
apprezzabile tasso di nobiltà politica.
In realtà, da quelle parti,
la posta che interessa i contendenti è soltanto una: il potere.
Vi pare che questa
affermazione sia gratuita? Che sia frutto di un eccesso polemico?
Andiamo a vedere. Di cosa
stanno discutendo?
Gli uni (Renzi e sodali)
vogliono andare subito alle elezioni, vogliono evitare di scomparire troppo a
lungo dalla scena principale, di cuocere a fuoco lento, dentro una crisi
economica e sociale che sta mettendo a nudo i disastri della peggiore stagione
politica della storia repubblicana. Gli altri, sentono che la voglia di
rivincita di Renzi passa attraverso la liquidazione di qualsiasi refolo di
dissenso interno e attraverso l’epurazione degli oppositori dalle prossime
liste elettorali. E quindi minacciano scissioni, simil-scissioni, persino a
suon di carte bollate.
Ma qualcuno ha capito quali
siano le reali differenze di orientamento politico e sociale delle due fazioni
in lite?
Forse la disoccupazione? O la
precarietà lavorativa ed esistenziale inflitta dalle scelte di governo a
generazioni di giovani? Forse l’adesione alle politiche di austerity che stanno
aumentando a dismisura la povertà e le disuguaglianze? Forse lo stato di
degrado del paese, l’assenza di uno straccio di programmazione economica, di
politica industriale, di ruolo della mano pubblica, di investimenti nella
ricerca, nella scuola, nei progetti di bonifica ambientale? O piuttosto non
c’è, fra i due litiganti, una comune condivisione della società di mercato,
della supremazia degli interessi del capitale finanziario, delle presunte virtù
del privato? Non sono forse, queste scialbe controfigure della politica
nostrana, espressione dei gruppi sociali dominanti? E non portano sulle proprie
spalle, al pari della destra classica, la responsabilità di avere consentito la
svendita dell’Italia, della sovranità popolare, del lascito programmatico più fecondo
della Costituzione repubblicana? Ebbene, l’abbiamo capito, il loro conflitto
non ci interessa, non parla di noi, di chi per vivere ha bisogno di lavorare,
della grande maggioranza dei cittadini di questo paese. Rappresentarne gli
interessi e organizzarne la voglia di riscatto è il tema impellente che è di
fronte a noi.
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